La prima cosa che mi viene da dire è ‘Scemo chi legge’. Va be’, nulla che non si sappia già.
Vi pare scortese? ‘Scemo’, un po’, ‘anche chi scrive’, allora.
Non sono molte le cose che occorre sapere davvero, a proposito di scrittori e lettori, se non che gli scrittori, anche i più sinceri, mentono e che i lettori, anche i meno ingenui, lo sono abbastanza da credere alle favole che gli scrittori inventano.
Come dire a un fine ed erudito lettore che conoscere tutte le maniere eccelse in cui si combinarono, nei millenni, le lettere dell’alfabeto, in molti casi, non fa di lui il custode della verità, che i testi in larga parte celano deliberatamente, mistificando, tra puerili travisamenti e deliberate iperboliche metafore, ma il mero esperto di quelle sole lettere?
Non che sia poco, comunque..
In più, scrittori e lettori sono spesso le stesse persone, che fanno una cosa e l’altra, come gli automobilisti e i pedoni, anche se non sembrano avere in comune più di quanto abbiano i bruchi e le farfalle, ma tutti sanno che hanno qualcosa in comune, bruchi e farfalle.
Un lettore, poi, posto che esista un modo per scriverla, potrebbe non reggerla, la verità. Potrebbe offendersi perché costretto a pensare a cose che neppure immaginava, come odia la sveglia al mattino, che non mente ma è colpevole di suonare all’ora fissata.
Vi furono – e forse non sono del tutto passati – tempi in cui si moriva in modi atroci per voler scrivere la verità. Oggi si muore meno. Alcuni scrittori sono screditati, derisi e umiliati pubblicamente, ma ciò basta. Non molte persone infatti sfiderebbero gogne a cuor leggero, ancorché mediatiche, o il pubblico ludibrio, per il capriccio di avere ragione.
Ci vorrebbe, oltre a un poco costruttivo autolesionismo, una bella faccia tosta. Non è arroganza, quella dei cantanti intonati in un coro stonato?
Gli scrittori, come si vede, sembrano avere davvero ottime ragioni per non scrivere la verità, non da ultimo, il fatto che non la sanno. L’unica verità che conoscono -e ciò vale per tutti- è la propria versione. Per amore di coerenza, uno scrittore dovrebbe attingere in ogni istante dalla propria originale ispirazione e cogliere l’essenza delle cose col solo filtro di cui si dispone che, nella migliore delle condizioni, è l’elevazione del proprio estro verso la perfezione, l’espressione più nobile della propria arte creativa. Chi potrebbe desiderare di mettersi costantemente a nudo, offrendo il fianco mille volte al giorno, senza pentirsene e senza impazzire?
Sarò onesto, da lettore, io sono il più ingenuo di tutti. Mi fido degli scrittori. Li amo, a volte. Se soffrono, io soffro con loro, se gioiscono, gioisco con loro. Se rigurgitano improbabili e prolissi sproloqui senza capo né coda, avventurandosi in esplorazioni linguistiche al limite dello speleologico e dilungandosi, senza motivo apparente, in capoversi verbosi e ripetitivi, perseguendo il solo scopo apparente di far coincidere -sembrerebbe davvero quella la loro finalità- ogni soggetto al suo predicato verbale, ogni congiuntivo al suo condizionale, in un tripudio di avverbi, aggettivi e sinonimi ben allineati, scordando forse ciò che stavano dicendo e sorprendendosi a raccontare tutta un’altra vicenda, rispetto all’originale, ebbene, io li perdono e li inseguo in ogni evoluzione della penna, immergendomi, senza fiato, in ogni periodo, in ogni capoverso, in ogni intonazione, pronto a bermi ogni parola, anche vana, soprattutto se vana, per puro piacere, confondendo quello stesso, viscerale godimento con la massima espressione della mia intelligenza, arrivando, come i più creduloni tra i lettori, a vederla aumentata a ogni frase letta, a ogni capitolo in più, a ogni libricino che uno scrittore abbia concepito più per sfoggio, più per sfogo, che per un qualsiasi reale intento formativo.
A mia volta, essenzialmente, scrivo. Faccio quello che posso, con quello che ho, per ragioni a volte giuste e a volte no. Alcune cose le miglioro, col tempo, altre le censuro; altre, ancora, ahimè, più per affetto che per buongusto, le tengo, per ricordo. Nulla è per gli altri; anche se mi piace pensare che ci sarà occasione, fosse solo per farsi due risate. In generale, si tratta di idee che il mondo s’é potuto risparmiare, il buon silenzio che, tuttavia, fu scritto.
Mi è diventato importante provare a ricordare, perlomeno da quando ho realizzato che non è detto che sarebbe così per sempre, che potrei rimbambire anche all’improvviso e non lentamente come faccio da anni, di avere avuto un’opinione, che non avrei imposto a nessuno, che aggiunge poco al troppo che già c’è, ma che, come il sangue nelle vene, scorse.
In larga misura, scrivo con l’intenzione di condividere la parte che, mi parse, era la più consistente, pur frammentaria, pur sconclusionata, cristallizzando gli attimi che furono davvero solo miei nell’attimo in cui lo furono, non per divenire definitivi, ideale compimento di un’opera, perché ce ne furono, di idee compiute ch’era meglio non lo fossero mai, ma, come quando si vive, che si vive intensamente, ma non si vede e si pensa che non fosse così, per volare in alto, vedere tutto con chiarezza, per un istante solo e poi svanire, per splendere per un po’ e poi più..
Il resto è intrattenimento
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