I pruriti di gioventù

Che modo è mai questo di amare?
Un modo che non ha bisogno di dirlo mai, perché non è bene che un sentimento, in società, racconti sé stesso, più o meno come non si usa spiegare il sarcasmo o certi doppi sensi.
C’è. Cosa dovrebbe aggiungere a sé stesso? Una medaglia? La fanfara?
Cos’altro dovrebbe fare un amore, oltre a giacere al tuo fianco, senza gli infantili pruriti, se non indurre, alla lunga, il fastidio della vicinanza, come punge un maglione di lana o un’etichetta?
Ci sono delle priorità, per così dire, esistenziali; questioni amministrative, nella gestione della vita, per chi, la responsabilità di farsene carico, la percepisca davvero, che si finisce col mettere davanti anche quando, da principio, si pensava che fosse meglio di no.
Sono tante le cose da pensare, da organizzare… e una sola è la vita.
Comunqie, non ce ne sarebbe mai abbastanza per crogiolarsi al sole, d’estate, o chiocciare sotto una coperta, d’inverno.
Non ne basterebbe per coltivare ogni talento che la libertà di un amore, per così dire, maturo, disincantato permettesse di riscoprire in sé e che si guarderebbe bene dal condizionare in chi si ami.
L’amore degli appuntamenti programmati, dei momenti esclusivi, cui ci si forzi, sarebbe un ben misero argine da opporre alle piene improvvise di ogni fisiologica esigenza individuale.
Non c’è abbastanza tempo, nell’amore maturo e disincantato, per le fisiologiche esigenze individuali.
Ci fosse il tempo, non sarebbe mai il momento, per chi conosce la differenza.
Ci fosse il momento, potrebbe mancare l’opportunità.
Sarebbe triste doversi accontentare, quando si senta così vivo il desiderio di spontaneità, del senso del dovere.
Ci fosse la spontanenità, ma quella è inopportuna per ipotesi… e comunque non ci sarebbe il tempo… forse, non se ne sentirebbe davvero il bisogno, del senso del dovere.
Bastasse il senso del dovere, non ci sarebbe nessun bisogno dell’amore.
Alcune cose valgono temporaneamente, finché si è giovani. Poi, quando non si è più giovani, non c’è più neppure il bisogno di ricondurre tutto alla biologia.
Ci sono, è vero, individui che antepongono qualunque primordiale impulso provenga dalle proprie viscere, ogni irrefrenavile istinto, anche al benessere della propria progenie. Di quelli si è raccontato spesso, alcuni hanno scritto in prima persona, alcuni hanno avuto importanti ruoli di governo, ma ci sono anche persone che, dell’occasione che fa l’uomo ladro, non saprebbero più che farsene, neanche impuniti, amnistiati, condonati.
Ci sono bisogni che certe persone non hanno e persone che, se anche ebbero bisogno, un tempo, ora stanno bene così.
Mi parrebbe davvero troppo essere io a rimarcare l’ovvietà dei sentimenti inespressi, della gelosia per tutti i momenti dedicati ad altro.
Oppure, ed è possibile, l’amore non esiste e il senso di tutto ciò è solo quello che riusciamo a indurci a credere, come si crede alla Befana e a Dio, come si confida sul fatto che i genitori siano corretti e si occupino dei figli, anche quando non vogliono, e i figli li amino, anche quando li odiano.
Oppure, l’amore delle promesse mantenute, delle scommesse vinte, dei progetti realizzati, non è l’amore che ci interessa e, arresi all’illusione, vinti dalla profonda bellezza dell’irrealizzabile verità, preferiamo non sapere mai di preciso quali frutti germineranno, dopo tanta semina, riconoscendo noi stessi nell’incontaminata purezza delle prospettive, nella potenziale evanescenza di un’idea, più che in un piccolo passo, anche simbolico, pur verso la direzione sbagliata, ma davvero percorso.
Salvo che sia davvero questo il senso estremo, più nobile e tragico dell’ amarsi:
Dedicarsi, perdersi, sacrificarsi e, alla fine, morire.
Molto bene.

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