Perché sarebbe peccato desiderare la donna d’altri?
Ciò m’è parso subito ingiusto… fin dalla prima volta che ne ho sentito parlare.
Sarebbe lunga, la genesi della mia opinione in merito, a spiegasi… bisognerebbe parlare di casi specifici e linee di principio; di epoche e costumi diversi, di emancipazione, di ciò che è oggettivo e ciò che non lo è, passando in rassegna gusti e preferenze.
È possibile che lo farò comunque, che qualche dettaglio lo riporti, ma in generale mi limiterò a mettere, se posso, un poco le mani avanti perché, anche se il peregrinare delle mie idee, durato qualche decennio, le ha mutate più volte di colore e forma, spero nessuno mi condannerà per esse, come io benevolmente non permetto quasi mai al mio sarcasmo, perlomeno dopo i pasti, quando l’umore è migliore, di fare impietosi paragoni tra i tempi dell’Esodo e oggi, scadendo in semplificazioni spicciole, se non per gioco, per far due chiacchiere tra amici.
Non è infatti detto che norme di condotta di tremila anni fa siano senz’altro errate, solo perché ormai desuete. Mi vengono in mente diversi esempi di regole che oggi non valgono più per nessuno, cui mi rifaccio volentieri, senza subire imposizioni, come chi ebbe il tempo di abituarsi a una catena che ormai non pesa più, si sente a disagio nell’esserne liberato.
Ciò non toglie che, a difendere quelle specifiche regole che, pure, saran state buone a lungo, mi parrebbe, oggi, di favorire un’ingiustizia.
Se potessi fare una domanda a Mose, prima di ogni altra cosa, gli chiederei: si può giudicare un pensiero cattivo se l’azione è buona? Posso essere ritenuto colpevole se, sottoposto a pressione, anche bassamente animale e istintiva, tuttavia resisto, col potere supremo della volontà, della virtù e della coerenza, proprio perché l’unica strada che so e riconosco più adatta a condurmi alla felicità che desidero, alla realizzazione che mi prefiggo, richiede di non trasgredire mai le mie volontà, virtù e coerenza?
Ok, non esistono le pressioni totalmente istintive, ve lo concedo, ma la debolezza porta sempre a capitolazione? E tutti i forti sono degni di gloria?l
Come si può parlare di debolezza se non cedo?
Io, se mi trovo di fronte a un bivio, posso esitare anche a lungo sul fatto di svoltare a destra, ma, se scelgo di andare a sinistra, perché mi si dovrebbe imputare di aver “desiderato” di andare a destra?
Non potrei difendermi dicendo che il diavolo mi tentava, ma io ho resistito?
Invece, chi ha dimestichezza con la materia, sa che peccato è anche il solo pensiero, poiché le nostre idee inespresse e i nostri sentimenti repressi non sono visti dagli altri, ma noi sappiamo che esistono e la coscienza rimorde.
Non è ingiusto che chi non ha tentazioni sia giudicato buono e chi le ha, ma sappia resistere, no?
Inutile negare, caro Mosè, che fondare una religione su presupposti privi di specificità obbliga a tristi compromessi con il proprio senso di giustizia, che da un lato è positivo, perché smussa gli spigoli alla nostra presunzione, facendo di noi individui meno spocchiosi e più amabili ma, dall’altro, svilisce il nostro sapere, pur esiguo, la cui consapevolezza è, quindi, come la superbia, una brutta cosa e comunque non chiarisce come fare, nella vita di tutti i giorni, a sopravvivere agli altri… naturalmente se si scoprisse che lo scopo della nostra esistenza non è la santità, o l’immortalità, ma la sopravvivenza, come eminenti scienziati hanno già sostenuto, negli ultimi secoli.
Non che questo sia un cruccio, per molti: l’uomo di scienza potrà comunque bearsi del suo sapere senza rimorsi e l’uomo di fede, se è tale, sapendo che chi si glori verrà umiliato e, chi si umili, glorificato, minimizzerà sempre sulle proprie qualità. Fortunati allora sono quelli che davvero non sanno di averne…
Ok, vorrei spezzare una lancia a favore di Mosè, perché non dev’essere stato semplice scolpire nella pietra i comandamenti. Essere sintetici fu forse necessario, nel deserto, a mani nude… Già in un paio di altre situazioni Mosè aveva mostrato il suo carattere sanguigno, del resto… Probabilmente bisognerebbe solo dare per assunto che Mosè era, in quel frangente, pressato dalla fretta e sforzarci di immaginare un’interpretazione, per le sue leggi, estensiva, adatta alle circostanze di allora ma anche agli uomini di oggi, molto diversi, per concezione e modo di pensare, da come viene descritto il suo popolo.
Si ricorderà che, mentre Mosè lavorava, i destinatari delle sue leggi stavano fondendo oro per costruire un idolo da venerare, quindi… chi sono io per giudicare l’idoneità di un messaggio rivolto ad altri? Evidentemente Mosè conosceva i suoi polli.
Allora forse, quelle parole parvero più azzeccate di ciò che sembra ora… oggi un testo meno succinto chiarirebbe meglio il senso di certe lapidarie parole su lapide.
Perché il semplice desiderio di uccidere… o rubare… non sarebbero peccato? Perché dire solo “non rubare”, mentre per la donna d’altri basterebbe il pensiero?
Che sia un errore del traduttore? il dubbio viene: la lingua si evolve e” non commettere adulterio” e “non fornicare”, che erano brutti da insegnare ai bambini, forse, ma che avevano un senso, diventano “non desiderare”, che sembra un comandamento ad uso delle fidanzatine gelose… “Ti ho visto che guardavi il sedere della hostess! Dio ti punirà!”
Si, c’è quel “non desiderare la roba d’altri”, ma è probabile, altrimenti sarebbe un doppione, che si tratti di un’esortazione ancestrale a un approccio epicureo alla vita… prima che ci pensasse lo stesso Epicuro… un invito a essere contenti della propria, di roba…
Sulle donne invece c’è solo quella indicazione.
Mi verrebbe da credere che, poiché il comandamento arriva subito prima, potrebbe intendere la stessa cosa, ma mi parrebbe davvero inaccettabile che nessuno abbia ancora provveduto a eliminare un testo tanto lesivo della dignità femminile dalle sacre scritture: come potrebbe intendersi degno il proposito di considerare una donna, evidentemente la compagna eletta in vece di tutte le altre donne, ove lei elegge il suo uomo in vece di tutti gli altri uomini, nel legame divino che tutti devono guardarsi dal separare, come roba propria?
Se Mosè avesse scritto, che so, “mantieni la parola data” che sarebbe forse il miglior comandamento dei dieci, se ci fosse, se non altro perché in paradiso si starebbe più comodi, in due o tre… allora potrei capire.
La fedeltà è infatti una promessa mantenuta; ha a che fare con la coerenza, con la virtù e con la verità.
Invece, il desiderare la donna degli altri comincia prima, insieme a quello per la donna di nessuno; ha a che fare con quello che vedi, che non puoi fare a meno di vedere, con quello che senti, che non puoi fare a meno di sentire e, naturalmente, con quello che sai, dato che non tutte le donne che desideri si tatuano in fronte il nome del marito… ha a che fare, soprattutto, con ciò che scegli come giusto, dopo aver visto e sentito… e saputo.
Per molti individui, fu una sofferenza spesso inutile fingere di non vedere, come se chi ama le lasagne dovesse resistere alla fame, trattenendosi dall’assaggiare la carbonara, per fedeltà alle lasagne. Tutti amano le lasagne, che significa?
La fedeltà è una scelta successiva, come il veganismo e la squadra del cuore. Non ha nulla a che fare con gli istinti, con le regole dell’attrazione.
Penso che dovremmo parlarne. Dovremmo proprio trovarci a una tal data e, come Mosè coi suoi seguaci, come Gesù coi farisei, stabilire se certe regole, anche se sonoramente desuete, rumorosamente sessiste, antidemocratiche e contrarie alle ormai più accettate leggi biologiche e antropologiche, debbano perdurare o, finalmente, essere sostituite.
Io, per esempio, proporrei umilmente di inserire “desidera ciò che vuoi, ma sii coerente con ciò che scegli”, da abbinare al sempre utile “non tradire mai la fiducia di chi te ne dà”.
Certo, m’inchino a proposte migliori. Sono sicuro che non mancherebbero profeti, anche in erba, meglio attrezzati di me… è del resto noto che immedesimarsi coi santi e i discepoli sia raro. Il destino di sofferenza e di sacrificio dei santi non è ambito… mentre a tutti capita di aspirare, prendendo a modello gli dèi conosciuti della mitologia greca e latina, con le loro opulente vite immortali, alla divinità.
L’uomo, eternamente precario… anzi, precariamente precario, ama e ringrazia per ciò che ha, perché è saggio e capisce che potrebbe perderlo, ma desidera necessariamente ciò che gli manca, è nella sua natura e gli è impossibile non farlo, salvo poi resistere, non essendo in completa balìa dei sensi, e vivere in coerenza con i suoi principi e le sue scelte.
Egli non ha che la sua parola e il tempo disponibile per onorarla o disattenderla… il resto non esiste e, se esiste, non conta… e, se conta, è colpa di Mosè.
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