Sono contro le droghe, nel senso che non mi piacciono: non mi piacciono gli spinaci, le interiora, le unghie sulla schiena…

…e le droghe.

Non che me ne intenda granché, di unghie sulla schiena…

So che, prima di dirsi contrari a qualcosa, come quando la mamma ci propone i broccoli, si dovrebbe assaggiare…

…Invece, ammetto, la mia esperienza è limitata.

Ci sono stati dei motivi, naturalmente, che non sempre hanno avuto a che fare con la mia risolutezza, la mia forza di volontà, la mia netta contrarietà.

Non si trattava, insomma, di ragioni legate all’etica o alla morale.

Riguardava più che altro il mio approccio generale verso ogni cosa, dall’ecologia al razzismo, alla politica, la religione, le opinioni degli altri e le altrui concezioni del mondo.

Credo sia così un po’ per tutti, in fondo, soprattutto da ragazzi, quando le cose da sapere che non si sanno sono la maggioranza, quando, restare al riparo dagli errori troppo gravi, senza togliersi il piacere di mettersi in mostra, ogni tanto, sperando che sia per piacere di più e non per mettersi in ridicolo, significa soprattutto stare al riparo, nel gruppo…

Per me lo era senz’altro: non escludevo mai qualcosa a priori, né per me né per gli altri, cosa che mi permetteva una certa tolleranza, per i comportamenti altrui, e indulgenza, per i miei, ma poi mi scontravo con banali questioni di gusti, pregiudizi difficilmente superabili, costi proibitivi.

Ecco, il costo è stato sempre un importante elemento, per me che, mai stato ricco, ci dovevo stare attento, nella definizione della strategia da adottare per ottenere ciò che volevo…

Direi che, in definitiva, ho fatto solo ciò che mi piaceva veramente, non vistosamente contrario ai miei princìpi, che sono tutt’ora in evoluzione, comunque, e non troppo costoso… che potessi permettermi, in breve.

Da ragazzo, mi sembrava tutto solo virtualmente possibile; le cose che non sapevo fare, che mi spaventavano, che non mi piacevano e che costavano troppo, per me, erano di gran lunga la maggioranza…

Per certi versi, le droghe non facevano eccezione: erano teoricamente alla mia portata, ma in pratica molto lontane da me.

In realtà, l’aggettivo “lontane” non è poi così indicato… 

Dove stavo io, non era difficile procurarsi le droghe. Si sapeva sempre a chi rivolgersi. Anche se ho fatto spesso motivo d’orgoglio di non aver speso un solo euro (né Lire) per comprarne, in vita mia, conoscevo personalmente almeno quattro spacciatori, prima dei quindici anni, nonché decine di consumatori abituali, anche se non incalliti… Ciò non significa che siano morti, ancora, diventati tossicomani o che siano rimasti utilizzatori tutta la vita.

Il consiglio, che doveva scoraggiare i giovani di allora, di stare alla larga dagli spinelli, perché tutte le vittime di eroina avevano cominciato con le droghe leggere, era fondato, ma era altresì raramente vero il contrario…  non tutti i fumatori di canne morivano di overdose,

Molti di quelli che avevo conosciuto io, ora conducono vite mediamente normali: hanno un lavoro, una famiglia, votano… pro e contro.

Allora, c’erano spacciatori di ogni tipo: c’era quello che la droga la lasciava in pacchetti di Marlboro, in campagna, che si credeva una specie di genio; c’era poi chi la metteva nello zaino di scuola e anche chi si fece beccare dai carabinieri in borghese.

Io ero molto inesperto, ma ero spesso circondato da amici con maggiore dimestichezza di me. Immagino vi fossero differenze tra zona e zona e tra drogati e drogati, ma conoscevo consumatori di ogni tipo.

Alcuni di loro non erano privi di fascino; per esempio, stimavo un tizio più vecchio, che confezionava canne con precisione svizzera, mentre guidava, chiacchierando amichevolmente con noi, seduti dietro.

A me però fumare faceva venire la nausea. Sempre stato così. Cominciare a fumare le sigarette fu altrettanto faticoso.

M’imposi tempi di recupero tra una e l’altra, inizialmente, per non vomitare. Dopo mesi riuscivo a fumarne sette o otto al giorno.

Ci fu un periodo in cui arrivai a dodici.

Parlo di tabacco, naturalmente.

Smettevo per lunghi periodi, poi ricominciavo.

C’erano momenti in cui mi piaceva essere un fumatore; ma quelli veri, come i pendolari alla fermata dell’autobus, alle cinque del mattino, immancabile siga all’angolo della bocca, erano di un’altra qualità. 

Quindi ci ho provato, ok, senza vera passione, perché era da maleducati non farlo, come quando ti porgono la mano e non la stringi, oppure ti offrono il secondo sorso della birra, per farti vedere che ti considerano un fratello, ma a te la birra non piace e poi che schifo la bottiglia ciucciata.

Ora dico una cosa che forse è strana: io non sono mai riuscito a raggiungere la fase in cui ridi, in cui sei rilassato, in cui ti viene fame.

Non sono mai riuscito a divertirmi grazie al fumo e neppure ad associare un senso di ebbrezza, anche vago, almeno percettibile, al fatto di aver fumato.

Sono stato ubriaco molte volte, so di cosa parlo.

Fumare, per me, è sempre stato il malessere di stomaco necessario a stare in compagnia. Era un’altra di quelle cose che potevano generare pressione e stress, di cui la mia adolescenza era già piena.

Le dinamiche sociali, per essere o sentirsi integrati, da ragazzo, forse perché mi sentivo tutt’altro che integrato, forse perché la definizione di una mia personalità o di una ferrea volontà tardavano a venire, io, le subivo moltissimo.

Oltre al fumo, erano già state in voga e poi decadute molte sostanze. C’era già stato Woodstock, coi suoi modelli lisergici di scanzonata autodistruzione nei prati incontaminati.

Quand’ero molto giovane girava l’eroina, anche se il suo appeal era in fase discendente.

Sopito il clamore per le star eroinomani degli anni Settanta, passati di moda i figli dei fiori, restavano gli sballati, i disperati e gli emarginati. I ragazzi morivano, di overdose, anche molto vicino a noi piccoli. Prima di Trainspotting, la droga al cinema era raccontata da Cristiana F. Non sembrava un destino divertente. Ok Bowie, ok Lou Reed e Jim Morrison, ma… che angoscia.

Nel pieno dell’epoca beat, i drogati erano sognatori, persone già dotate, che avevano bisogno di sconvolgere gli schemi, le convenzioni e sé stessi, per semplice disubbidienza sociale o per scoprire orizzonti invisibili ai sobri, alle persone inquadrate.

Poi però le cose erano cambiate.

Chi si faceva di eroina all’inizio degli anni Ottanta era un disadattato coi pantaloni a zampa d’elefante, uno che, molto probabilmente, non si sarebbe più ripreso. Certo, se fosse sopravvissuto.

Quando ebbi l’impressione che l’eroina tornasse di moda, all’epoca dei Nirvana, di Trainspotting e sponsorizzata da una certa cultura, che non negava lo stretto legame tra eroina, dipendenza e morte, ma lo vedeva meno inesorabile e comunque attraente e figo, io ero ormai grande abbastanza da non aver bisogno di ricalcare dei cliché, per sentirmi figo. Ero, anzi, abbastanza adulto da capire che si poteva sopravvivere bene al fatto di non essere fighi per nulla; cosa che, anche se sapevo benissimo ma mi era difficile da digerire solo qualche anno prima.

Ho mancato anche il boom degli acidi.

Syd Barret era già passato al lato oscuro, non solo della Luna, quando ne sentii parlare. L’LSD io l’associavo a un ragazzo delle mie parti, mai più tornato in sé dopo un trip. L’idea per cui fosse un’opzione da prendere in considerazione, il fatto di infilare un acido sotto la lingua perché ‘tanto lo fanno tutti’, perché ‘la techno spinge’, per ballare al rave, perché è bello perdere il controllo, io, l’ho sempre vista come uno dei tanti modi in cui certe persone, anche tante, provano a fuggire da una realtà sgradita, quando non hanno abbastanza palle per occuparsi davvero di sé stesse e dei propri sogni, oppure la cosa che succede se sei troppo sensibile o stupido, per capire che la realtà potrebbe anche piacerti, così decidi di buttarti alle ortiche.

Nessuno di questi destini faceva al caso mio. Al riguardo degli acidi io sono sempre stato sensibile e stupido al punto giusto.

Inoltre, bisognerebbe sempre ricordare che la techno fa cagare, anche se non tutti lo ammettono, che, salvo per Peppa Pig, risvegliarsi, dopo dieci ore di sbornia lisergica, a mollo in una pozzanghera di fango, non dovrebbe potersi definire “uno sballo” e che chi sostenga, in quei momenti, di essersi divertito da pazzi, in piena deriva dei sensi, privo di consapevolezza di sé ma nella sostanziale convinzione di aver fatto, visto o sentito qualcosa, non merita nessuna fiducia.

Bisognerebbe dire che, quelli che credono che grazie alle droghe si possano ampliare orizzonti o esplorare territori sconosciuti della mente, esistono ancora.

Non è del tutto campato per aria, perché avere, nella tersa e limpida pienezza delle proprie facoltà, allucinazioni che ti conducano in altre galassie o ti materializzino unicorni e fauni danzanti davanti agli occhi, non è cosa comune. L’immaginazione delle persone sobrie e sane di mente ha certamente slanci che non si penserebbero, ma nessuno, neanche i sognatori incalliti, neanche i medium, ama passare per squilibrato. 

Così alla domanda specifica del questionario dei tre giorni, per chi fece i tre giorni, tutti sapevamo fosse meglio rispondere “non vedo cose che gli altri non vedono”

Io però continuo a scorgere, in questa concezione delle droghe come amplificatore di sensazioni, almeno due difetti.

Intanto, nelle altre galassie mica ci vai davvero. Sperimenti virtualmente, come chi gioca a un videogame; come se un grande consumatore di porno si considerasse esperto in materia di sesso.

Poi, per chi desideri andare al polo, vedere l’aurora boreale e tutto il resto, l’allucinazione da acido è un premio di consolazione, un contentino virtuale per i meno fortunati.

Io poi, non ditelo ai militari, ho sempre avuto molta fantasia. Se hai questo superpotere, stimi quelli che non ce l’hanno per quello che sono, come quando hai l’orecchio assoluto e il cantante stona.

Vedevo gli orizzonti alternativi visitati sotto oppiacei come l’aiutino per chi da solo non ce la fa, né più né meno del Viagra, giusto per restare in argomento farmacologico.

Sbaglierò di sicuro e non sarebbe la prima volta, ma credo che la fantasia funzioni meglio da sobri, come un coltello taglia meglio quando è ben affilato.

La mente ha i suoi momenti d’oro, le sue giornate storte, i suoi periodi sì e i suoi periodi no. Alcuni di noi imparano a pensare tardi, altri cercano di ragionare il meno possibile, altri ancora rincoglioniscono presto, ma, potenzialmente, lo dico io, ma anche altri, più furbi di me, senza bisogno di additivi, la mente di un uomo sano, lucido, nel pieno della salute, potrebbe proprio immaginare l’infinito, per quanto ne sappiamo.

A che pro accendere un cerino in una stanza già piena di luce?

E la cocaina? Beh, la cocaina è la marmitta Proma del motorino truccato, ma per gli umani.

Non è che li disapprovi nell’ambizione di migliorarsi, di essere più performanti, i cocainomani, è solo che in pratica non conosco umani che siano migliorati davvero. Freud, forse? Non so.

I cocainomani sono persone che non ce la farebbero, in cerca di scorciatoie. Sono quelli che copiano a scuola, che pagano perché qualcun altro faccia le cose al posto loro, che, se giocano, imbrogliano e, se fanno sport, si dopano.

Certo, è un bene che la cocaina sia cara, perché le persone in cerca di scorciatoie sono la maggioranza. Anzi, direi che in certe condizioni, di quella maggioranza, potremmo fare tutti parte.

A me, per esempio, sentirmi un po’ meglio di come mi pareva di essere, mi avrebbe forse semplificato la strada un milione di volte. Per pura combinazione, da ragazzo, avevo molta paura di non riuscire a conservare il controllo di me stesso. In più, mi faceva paura, della dipendenza da cocaina, non potermi permettere la disintossicazione. Guardavo i cocainomani famosi fare periodi up e periodi down, poi rehab e poi da capo.

Io non avrei mai potuto pagare qualcuno perché mi tirasse fuori dai guai. Così optai per non finirci.

Invecchiando sono diventato più critico, coi giovani e le droghe, perché quale sarebbe l’utilità di fare una cosa che non riesci a fare, sapendo che l’unica ragione per cui riesci a farla è che usi sostanze che ti fanno essere ciò che in realtà non sei è che sarai solo finché userai quelle sostanze? Ma non si sentono addosso, i cocainomani, l’odore acre del fallimento, dell’incompetenza, dell’inadeguatezza? Come fanno a sopportarlo?

Non ricordo se cominciai evitando la cocaina o le persone che la usavano. Fatto sta che ancora oggi, se mi imbatto in chi si sente alternativo nel ricalcare puntualmente ogni fase del mio percorso all’inverso, con la fatica che, ho constatato negli anni, bisogna fare per starne fuori, pur senza frequentare i bassifondi, non posso fare a meno di pensare che siano cresciuti, ancor più di me, sotto campane di vetro. Provo allora tenerezza, perché so bene che non sarà affatto facile, per loro.

Certo, qualcuno cede, ogni tanto.

Vorrei poter dire che anni fa li capivo davvero, i giovani cocainomani, essendo giovane a mia volta, ma la realtà è che, come subivo il resto, subivo loro. Non li capivo affatto, non li approvavo e trovavo un’aberrazione il fatto che vi fossero stuoli di estimatori, fans e cultori pronti a sostenerli, giustificarli e glorificarli. quei… bari, mistificatori sleali

Non era il fatto che fossero deboli, il problema; ognuno di noi ha le sue debolezze, le sue fragilità. Io subivo il fatto che fossero corruttibili, arrendevoli.

Non cedevano per debolezza, ma per vanità, per sentirsi competitivi anziché verso il mondo reale, con modelli esistenti solo nelle canzoni dei rapper descolarizzati, senza genitori, cresciuti col mito della grana e della celebrità; gente che non sa chi siano Socrate o Aristotele, e che idolatra Scarface e Rocky. Subivo quei giovani, caduti per il vaneggiamento puerile di trovare un’alternativa a sé stessi, una versione migliore, più simpatica, più divertente, più brillante; una versione cristallizzata delle qualità che avrebbero desiderato ma che non avevano.

Quella versione non esiste, bisognerebbe che qualcuno glielo insegnasse; quella versione, se esistesse, non batterebbe mai, in qualità, la versione peggiore del loro vero io, posto che avessero la determinazione di non somigliare a uno stereotipo, a un cliché, al personaggio che interpretano. Posto che avessero il coraggio di mostrarsi agli altri, come mostrano spudoratamente quelle maschere.

Invece nascondono il lato migliore, il loro essere ‘persone’, costringendoci ad avere a che fare coi loro ruoli.

Pensavo a come sarebbero stati splendenti, certi uomini, senza doversi sentire costretti a splendere di luce artefatta. Penso a certe cantanti, a certi artisti, ma anche a persone mai divenute celebri.

Molte di loro, quanto belle e splendenti sarebbero potute diventare, non l’avrebbero forse mai scoperto, neppure diventando belle e splendenti come diamanti, perché non tutti sanno cogliere la bellezza, si sa, nemmeno in sé stessi; molti sono troppo umili, insensibili o semplicemente poco avvezzi a trattare pietre preziose.

Ecco perché preferiscono, alle pietre, la polvere: per poter essere campioni del proprio innaturale imbruttimento, non più interpreti del miglior sé stesso possibile, ma del ghigno perverso della scimmia sulla loro spalla.

A proposito, ve l’ho già detto che sono favorevole alla legalizzazione di tutte le droghe? Facciamo che ne parliamo un’altra sera.

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